Le cose e i ricordi che abbiamo messo in valigia, con cui ricostruiremo il nostro Paese Da quando è cominciato l’attacco russo che ha distrutto case e monumenti, anche le cianfrusaglie sono diventate preziosissime. Ci danno sicurezza
Questo è un articolo dell’ultimo numero di Linkiesta Magazine Omaggio all’Ucraina + New York Times Big Ideas in edicola a Milano e Roma e negli aeroporti e stazioni di tutta Italia.A febbraio di quest’anno, ancora prima che le bombe russe cadessero sulle città ucraine e prendesse piede l’invasione russa su larga scala, milioni di ucraini si sono affrettati a fare i loro kit di emergenza. Hanno preparato le cose di prima necessità e gli animali domestici per una possibile fuga.
Quando ho preso la decisione di lasciare la mia Kyjiv, oltre a un paio di cose invernali, ho preso il ritratto di mia mamma, i manoscritti con le sue poesie, i testi per il teatro e i racconti inediti, l’archivio delle vecchie foto di famiglia, alcune delle mie grafiche preferite di artisti ucraini, i diplomi universitari, le perle e i gioielli che ha ereditato mia mamma da mia nonna. Se avessi perso quelle cose, avrei perso qualcosa di importante, addirittura me stesso.
Negli anni Trenta, conducendo una lotta contro la religione e l’identità ucraina, il regime comunista ha distrutto in Ucraina centinaia di chiese medievali e barocche e ha abbattuto senza pietà altri siti architettonici per costruirci al posto loro le nuove città socialiste. La collettivizzazione dell’agricoltura e l’Holodomor, lo sterminio per fame dei contadini ucraini, hanno cancellato milioni di vite.
Tra questi, il ginnasio di Lysychans’k, che era parte del patrimonio architettonico belga della città, memore della sua storia industriale legata direttamente all’Europa Occidentale.
Una mia amica volontaria di Kharkiv porta gli aiuti umanitari e assiste i giornalisti nelle zone da poco liberate dall’occupazione russa. Per qualche motivo gli abitanti locali non la portano a vedere le case distrutte, ma con grande entusiasmo le mostrano le vigne sopravvissute al rogo. I genitori di un mio amico lo chiamano da Kherson arrabbiati: «Quando libereranno la nostra Kherson? Dobbiamo andare in campagna a sistemare il giardino!».
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