La lettera dell’attivista iraniana per i diritti umani Sepideh Qolian dal carcere di Evin, a Teheran, pubblicata dalla BBC racconta la brutale violenza usata dalle guardie del regime per ottenere le confessioni, ovviamente forzate dalle torture
Proteste in Iran, le torture durante gli interrogatori
L’attivista, in carcere da 4 anni, si trova in quella che viene definita l’ala culturale del carcere di Evin, ma che lei racconta essere diventataai quali ha direttamente assistito. «Fa un freddo gelido e nevica, vicino alla porta di uscita dell’edificio,: «Giuro su Dio che non ho picchiato nessuno».Finora, almenoe 19.
Nella sua lettera, Sepideh Qolian ricorda anche il proprio interrogatorio nel 2018 terminato, ovviamente, con una confessione forzata.che sperava potesse essere più tenera con lei rispetto ai maschi e di aver pensato che almeno non l’avrebbe aggredita sessualmente.Ma, purtroppo, le sue speranze sono state di breve durata: l’interrogatrice, infatti, racconta Qolian «ha preso a calci la gamba della scrivania e ha gridato “”». A quel punto l’attivista ha rifiutato di collaborare.
«La tortura è continuata per ore o forse un giorno, forse di più, ho perso la cognizione del tempo», scrive. Dopo essere stata rilasciata dalla toilette,, è stata portata in una stanza dove era stata installata una telecamera. A quel punto, stremata, avrebbe fatto qualunque cosa, compresa
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