La guerra e il terrore | La catastrofe intellettuale di Vladimir Putin - Linkiesta.it

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La catastrofe intellettuale di Vladimir Putin L’attacco all’Ucraina, a differenza di quelli di epoca zarista e comunista, non ha dietro di sé un pensiero forte né offre un obiettivo di grandezza Un grande saggio di Paul Berman | RussiaUkraineConflict

Vladimir Putin potrebbe essere uscito di senno, ma è anche possibile che abbia semplicemente osservato le cose attraverso una particolare lente che appartiene alla tradizione russa. E che abbia agito di conseguenza. Invadere i vicini non è, dopo tutto, una cosa inedita per un leader russo. È una cosa abituale. È senso pratico. È un’antica tradizione.

Grazie alla brutalità e all’insolita politica estera lo Stato russo è riuscito ad attraversare il XIX secolo senza collassare – e questo è stato un successo. Ma nel XX secolo lo Stato è collassato due volte. Il primo collasso, nel 1917, consentì l’ascesa al potere di estremisti, di pazzi e di alcune delle peggiori sciagure della storia del mondo. Nikita Chruščëv e Leonid Brežnev riportarono lo Stato a una condizione di stabilità.

La prima di queste collisioni, quella originaria, prese una forma molto rozza e non ebbe le caratteristiche delle successive collisioni. Ma fu traumatica. Stiamo parlando dell’invasione della Russia da parte di Napoleone nel 1812, che mandò a sbattere la Rivoluzione francese, in una sua forma deteriorata e dittatoriale, contro il medievalismo congelato degli zar.

Le guerre ebbero successo. La rivoluzione continentale del 1848 andò incontro a una sconfitta continentale e Nicola I ebbe una parte importante in tutto questo. Fu il “gendarme d’Europa”.

L’unica differenza è che Putin si è imbattuto in un problema di linguaggio, o di retorica, che non aveva afflitto nessuno dei suoi predecessori. Nicola I, negli anni Trenta e Quaranta dell’Ottocento, sapeva benissimo come descrivere le sue guerre contro le idee e i movimenti liberali dell’Europa Centrale. Lo faceva evocando i principi di un ideale monarchico mistico e ortodosso. Lui sapeva a favore di che cosa e contro che cosa si batteva.

Non ha tratto quasi niente dal comunismo, fatta eccezione per l’odio verso il nazismo che è rimasto dalla Seconda guerra mondiale. Anche lui ha posto molta enfasi sul suo antinazismo e questa enfasi ha avuto un ruolo importante nel suscitare quel supporto che Putin è riuscito a raccogliere fra i suoi compatrioti russi. Ma, per altri versi, l’antinazismo non è un punto di forza della sua dottrina.

Ma il nazionalismo di Putin non rivendica alcuna missione speciale di questo tipo. Non è un nazionalismo grandioso, ma un piccolo nazionalismo. È il nazionalismo di un piccolo Paese – un nazionalismo che ha una vocetta strana, come quella del nazionalismo serbo che negli anni Novanta sbraitava su avvenimenti del XIV secolo. È, sia chiaro, una voce arrabbiata, ma non ha il tono profondo e tonitruante dei comunisti.

Questa dottrina non offre speranza. Offre isteria. Putin crede che sotto la presunta leadership nazista che si è impadronita dell’Ucraina milioni di russi che vivono all’interno dei confini dell’Ucraina siano vittima di un genocidio.

Ora, è vero che dal punto di vista di un tradizionale realismo in politica estera tutto quello che ho appena detto dovrebbe essere scartato come irrilevante. Il realismo è un’ideologia che accantona come cose insignificanti le ideologie e si attiene rigidamente ai rapporti di potere.

L’espansione verso Est della Nato lo fa infuriare e lo terrorizza perché ostacola la tradizionale politica estera russa, solida e conservatrice, stabilita da Nicola I: la politica di invadere i vicini. Là dove si è espansa la Nato, la Russia non può più invadere e quindi non possono essere smantellate le conquiste delle rivoluzioni liberali e repubblicane – o, quantomeno, non possono essere smantellate dall’esercito russo.

Io lo so, perché sono uno studioso delle rivoluzioni – ho osservato molti sollevamenti rivoluzionari in diversi continenti – e perché ho visto la rivoluzione di Maidan, con tre mesi di ritardo. Ho percepito nell’aria l’elettricità rivoluzionaria – e l’ha percepita anche Putin, da lontano. La rivoluzione di Maidan ha rappresentato tutto ciò contro cui Nicola I si era impegnato a combattere nel 1848-49.

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