Per il Censis si tratta di «un macigno che potrebbe mandare in default 184 mila imprese»
La “Guerra dell’energia”, come la chiama il Censis , potrebbe costarci molto cara. La fiammata dell’energia prima, e la crisi provocata dalla guerra poi, quest’anno rischia infatti di incenerire 3% del Pil. “Un macigno che potrebbe mandare in default 184.000 imprese che danno lavoro a 1,4 milioni di persone» avverte il presidente di Confcooperative, Maurizio Gardini.
In pratica il 10,5% degli addetti delle imprese italiane è a rischio e con loro il 10,9% del valore aggiunto. La maggiore l’incidenza di imprese “parzialmente o seriamente a rischio” si ha nel settore dei servizi e, rispetto alla dimensione di imprese, tra quelle più piccole, arrivando a toccare il 21,3% in quelle che hanno da 3 a 9 addetti.
Secondo l’analisi del Censis il 29,8% delle nostre imprese – oltre 285mila, di cui 221mila imprese del terziario – non è in grado di recuperare i livelli di capacità produttiva precedenti la pandemia.
«Per il caro energia il Fondo monetario, nel periodo prebellico, aveva stimato una contrazione del Pil pari all’1,5% a cui vanno aggiunti – spiega Gardini – gli effetti della guerra che rischiano di costarci almeno un altro 1,5% di Pil tra rincari delle materie prime, difficoltà negli approvvigionamenti, mancato export verso la Russia, chiusura dei flussi turistici e peggiorate condizioni per la circolazione delle merci».
Insomma «è un’economia di guerra e occorrono misure di guerra» avverte il presidente di Confcooperative. Che lancia una proposta al governo: «Le imprese vantano circa 60 miliardi di crediti nei confronti della Pa. Le imprese creditrici potrebbero compensare il caro energia con i crediti vantati. La liquidazione sarà rimandata a un accordo tra Stato, Cdp, società energetiche e municipalizzate.
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