La transizione passa da sicurezza energetica e cibernetica, immigrazione, clima. E poi promozione dei diritti umani e del libero commercio. In un contesto in c…
Per descrivere alcuni tratti fondamentali della politica estera italiana di fronte alle sfide globali - contemporanee e future - vorrei iniziare da una parola chiave: "transizione". Perché questo vocabolo è così importante per le relazioni internazionali? Innanzitutto perché ha significati diversi e racchiude numerosi concetti che condizionano le vicende del pianeta.
Ho pochi dubbi, quindi, sul fatto che stiamo attraversando una transizione nel sistema internazionale, e non abbiamo ancora un'idea precisa di quale sarà l'esito di questa fase tra dieci o quindici anni.
Molti Paesi occidentali stavano riflettendo su tutte queste possibilità e avevano cominciato a lavorare per rilanciare la propria crescita su basi simili. Poi però un altro evento si è conquistato la ribalta: l'aggressione russa dell'Ucraina. Questa guerra, avviata da Mosca in totale violazione del diritto internazionale, ha assestato un altro colpo alla sostenibilità del nostro sistema altamente interdipendente.
L'aggressione all'Ucraina è una seria minaccia per la stabilità regionale ma non è l'unica. La priorità della nostra politica estera rimane quella di assicurarci un Mediterraneo stabile e pacifico, concentrandoci sul Nord Africa e sui Balcani Occidentali.
Il mondo, piuttosto all'improvviso, si è confrontato con carenze di forniture di materie prime agricole e con un incremento eccezionale dei prezzi. Di conseguenza, l'Italia si è spesa a favore di quelle iniziative a livello ONU e Ue per facilitare le esportazioni dall'Ucraina sia via terra sia via mare, ottenendo risultati positivi.
In questo momento, molti ritengono che l'invasione russa dell'Ucraina e le crisi in corso sui mercati energetici potrebbero mutare gli atteggiamenti dei Paesi e le decisioni prese per raggiungere la neutralità climatica entro la metà del secolo. Le migrazioni dipendono anche dal livello e dalla distribuzione della ricchezza e dalle opportunità di una vita decorosa in Africa e nel mondo. Ecco perché dare un contributo significativo al raggiungimento degli obiettivi dell'Agenda 2030 per lo Sviluppo sostenibile rimane una priorità concreta della politica estera italiana. Per questo abbiamo incrementato le risorse pubbliche per la cooperazione allo sviluppo.
Nel 2021 i numeri dell'export italiano sono stati da record, con quasi 520 miliardi di euro di valore. Nonostante la crisi ucraina, questa tendenza positiva sta continuando e - secondo i dati del primo semestre 2022 - stiamo facendo anche meglio dello scorso anno. La storia diplomatica dell'Italia in questi ultimi decenni è stata una storia di promozione del dialogo, sia al livello bilaterale sia a livello multilaterale. Un simile approccio - o meglio, questa "attitudine nazionale" - non cambierà. Abbiamo una capacità unica e antica di favorire contatti e proporre soluzioni.
Vorrei inoltre sottolineare l'importanza della cooperazione nell'ambito del G7, così come del fatto che l'Italia partecipi a formati ristretti con i suoi alleati più vicini quando ciò è necessario per trattare un tema specifico, come avviene con il gruppo QUINT. Dopo tutto, questa è proprio la lezione che possiamo apprendere da Jean Monnet e dai padri dell'integrazione europea. E inoltre è una richiesta che arriva forte e chiara dalla Conferenza sul Futuro dell'Europa.
Lo stesso vale quando si affronta il dossier immigrazione. La risposta straordinaria a livello Ue di fronte alla crisi migratoria ucraina ha dimostrato come gli Stati membri possano rimanere uniti e ottenere una gestione efficace dei flussi.
Se si osserva una cartina dell'Ue, si noterà come ci sia un vuoto proprio al suo centro. È esattamente dove si trovano i Balcani Occidentali, nonostante essi siano parte dell'Europa per geografia e spirito.
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